Lombardia in testa nell’attrazione degli investimenti

L’Italia “a due corsie” è sempre più una realtà. A ricordarcelo è una recente indagine della Siemens-Ambrosetti secondo cui il nostro paese arranca nella capacità di attrarre investimenti dall’estero.

Tra il 1996 ed il 2001 l’Italia ha ottenuto investimenti diretti sul suo territorio per una percentuale pari allo 0,5% del Pil, a differenza del 2’,6% della Francia, del 2,7% della Germania e del 5% della Gran Bretagna. Inoltre il divario tra Nord e Sud è sempre più evidente: la Lombardia è la prima nella classifica delle regioni che rappresentano un’attrattiva per gli investitori stranieri (2,20% di investimenti diretti rispetto al Pil), seguita dal Piemonte (1,17%)e dal Veneto(0,99%). Il centro ed il sud, invece, confermano la difficoltà a volare alto nel campo della promozione dello sviluppo territoriale. Ad eccezione della Sardegna, infatti, (0,61%), si è evidenziato un vero crollo nelle percentuali di riferimento delle altre regioni meridionali (0,11% Campania), (0,05% Puglia), (0,02% Calabria e Sicilia), (-0,01% Basilicata e Molise), (-0,02% Abruzzo).
Analizzando i dati si può desumere che, in generale, il nostro “sistema paese” non è considerato appetibile per l’investimento da parte degli operatori stranieri. Le ragioni sono più che evidenti: servizi spesso carenti, sistema burocratico ingessato ed obsoleto, scarsa capacità, nei passati decenni, di incidenza della politica nel processo di reale modernizzazione del paese, alto tasso di fiscalizzazione, alta incidenza del ruolo del sindacato nell’ostacolare un reale ammodernamento del mercato del lavoro, infrastrutture insufficienti ad ottemperare le esigenze della nuova economia globalizzata che scorre ad altissima velocità, livello di formazione dei lavoratori spesso scarsa e di bassa professionalità…si potrebbe continuare così ancora con altri esempi ma non serve.
Ciò che è utile è cercare di capire perché la Lombardia attrae capitale straniero e la Calabria o l’Abruzzo, ad esempio, no.
Il problema di fondo è sicuramente da individuare in un differente retaggio culturale tra Nord e Sud.
Si potrebbe obiettare: mancano le infrastrutture al Sud. E’ vero, molte strade che nel sud collegano paesi, zone turistiche, e bellissime cittadine sarebbe meglio definirle mulattiere, inoltre manca un efficiente rete idrica, molte aziende, infatti, sono costrette a spendere miliardi per far funzionare le proprie fabbriche e questo certo non può rappresentare un ‘attrattiva per nessun imprenditore dotato di un minimo senso degli affari, occorrono nuove linee per l’alta velocità, porti meglio strutturati e nuovi aereoporti. Tutto vero. Bisogna riconoscere però che, mentre nel Nord si è abituati a realizzare ciò che si progetta, nel Sud, spesso, ci si arresta nella fase di ideazione. Quanti progetti nel mezzogiorno sono stati prontamente finanziati dallo stato, in passato, ma non hanno mai visto la luce?
E così arriviamo al vero nodo che attanaglia, come in una morsa, il nostro bel meridione: il malaffare, la scarsa capacità organizzativa, l’indolenza politica e sociale, la criminalità organizzata.
Non possiamo certo fare l’errore di considerare tutto il sud in questi termini. Ci sono importanti segnali di ripresa e di risveglio dell’orgoglio sia a livello sociale che politico. Tuttavia nessuno può negare che il cammino da fare in questo senso è molto lungo.
Il turismo rappresenterà, in futuro, la vera capacità di attrazione degli investimenti per il Sud, insieme allo sviluppo delle capacità intellettuali da impiegare nella new-economy o nella produzione culturale a vari livelli. Tuttavia per far questo occorre avere la consapevolezza delle proprie potenzialità, considerare l’importanza di un processo culturale di autocritica e, soprattutto, attuare una rivoluzione in campo sociale: le mamme ed i papà del sud dovrebbero imparare a responsabilizzare i propri figli, che saranno gli insegnanti, i politici e gli imprenditori di domani. Non possono più rimanere a casa fino a 35 anni, imboccati e viziati. Lo stato non è più in grado di continuare ad “assistere” eterni Peter Pan. Gli investimenti al sud, dunque, arriveranno quando il sud imparerà ad avere fiducia in sé stesso. Cioè quando deciderà finalmente di giocare, in prima persona, la partita dello sviluppo.

Cristina Palumbo

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