Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un crimine commesso nei confronti di una donna siamo colti da un dolore intriso di stupore. E’ un dolore che attanaglia l’anima, che non trova mai il suo perché. Già, perché verrebbe da dire si uccidono fra loro gli esseri umani? E perché i freddi dati statistici parlano soprattutto di femminicidi? A questa domanda è facile rispondere; in ambito affettivo e familiare sono più gli uomini ad uccidere le donne, non il contrario. Secondo l’Eures, nei primi mesi del 2017 sono morte, in Italia, già 114 persone di sesso femminile. Nel 2016 la regione con il macabro record è la Lombardia (25 vittime). Si uccide soprattutto in un contesto familiare. Secondo uno studio realizzato da “Feminicidio”, la mappa dell’orrore distribuisce 61 casi al Nord, 26 al Sud, 24 al Centro e 9 alle Isole, mentre l’età media degli assassini e delle vittime è stranamente simile: 49 anni o giù di lì. A dire il vero gli omicidi in Italia sono, nel corso degli anni, notevolmente diminuiti e di questo dobbiamo ringraziare sicuramente il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, oltre a quello formativo e culturale che a vari livelli (famiglia, scuola, media, ecc.) si è realizzato in ambito sociale. Non possiamo inoltre disconoscere che, secondo l’Agenzia dei diritti fondamentali della UE, l’Italia è in basso alla classifica europea rispetto alle violenze fisiche o/sessuali perpetrate nei confronti delle donne (27%). Per una volta a star su nella classifica della violenza sono i paesi nordici. La Danimarca svetta con il suo 52%, seguita dalla Finlandia (47%), dalla Francia e dal Regno Unito (44%). “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita…” citare Dante in un contesto del genere, viene facile. L’età di mezzo, quella critica in cui si compiono e subiscono i più orrendi delitti, è molto delicata. E’ l’età dei bilanci, delle inversioni ad U dell’esistenza. E’ il momento dell’accettazione del nuovo cambiamento di pelle, in senso figurato e letterale. E’ il momento in cui il nostro corpo ci chiede di accettarci in modo diverso, meno spavaldo, più delicato. E’ il momento in cui ci si deve preparare ad affrontare la fase più difficile della vita. Quella delle fragilità, quella del ritornare alle origini, quando non più noi, ma altri dovranno sempre più occuparsi del nostro corpo e della nostra psiche. Ci si deve preparare a diventare di nuovo bambini, ma con la consapevolezza e il bagaglio di esperienza degli adulti. Un percorso per niente facile. Nel contesto in cui viviamo, passa il messaggio che l’efficienza sia tutto. Il fare più che il pensare e il corpo da conservare come una macchina che non ammette sbavature, invecchiamenti, riparazioni. Il risultato è un non guardarsi più negli occhi con tenerezza, non amare i reciproci capelli bianchi, le proprie rughe, i propri reciproci ricordi. Non esiste la perfezione dei corpi, dei rapporti. Esiste una volontà di volersi bene, sempre, nonostante tutto. I profili social raccontano solo una parte della realtà, quella che vogliamo raccontare. I conflitti nei rapporti tra uomini e donne hanno mille sfaccettature, mille perché, ma alla base è sempre una questione di rispetto per la libertà di scelta altrui. L’uomo e la donna non sono oggetti nelle mani di un altro, ma persone con una sacralità da rispettare. A volte amare vuol dire accettare scelte dolorose, pur di rispettare la volontà altrui. Anzi amare è proprio questo. Far male ad una donna, ad una bambina non è umano. E’ il delitto dei delitti, perché si uccide la bellezza, la tenerezza, il romanticismo, il sentimento. Si uccide colei che dà la vita, che potrebbe dare la vita. Si uccide la vita.
Cristina Palumbo
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